Amministrazione trasparente

“Amministrazione trasparente” è la sezione del sito istituzionale in cui sono reperibili i dati, i documenti e le informazioni concernenti vari aspetti dell’organizzazione e delle funzioni dell’Istituto, soggetti, per disposizione di legge, ad obbligo di pubblicazione, ovvero pubblicati di iniziativa dell’Istituto.

Cortile

Appena varcata la soglia del portone di ingresso del Palazzo il visitatore è accolto sulla sinistra da una busto, raffigurante Flora. La scultura proviene dalla celebre collezione romana dei Torlonia e fu realizzata nella seconda metà del XVIII secolo, sull’esempio di originali di epoca traianea (II secolo d.C.), da un esperto falsario romano, identificabile, forse, in Bartolomeo Cavaceppi. Nel porticato è conservata gran parte della collezione di frammenti lapidei antichi già presenti in collezione Accorsi a villa Paola: si tratta di capitelli romani e medioevali, teste di putti, parti di figure e mensole, risalenti a un periodo compreso tra la tarda età antica e il Rinascimento. Scenografica è la parete di fondo del cortile, decorata con opere in pietra di diversa provenienza: al centro, entro una nicchia, c’è una fontana in forma di dea romana Pomona, dai cui seni usciva acqua. Datata 1573, fu realizzata, a Verona, dallo scultore Simone Bonamoni. Poste ai lati sono, invece, due repliche in marmo, databili a inizio Ottocento, dei celebri leoni del Campidoglio a Roma, opera di Giuseppe Valadier. Sulla sommità della parete è presente uno scudo in pietra con lo stemma di Vittorio Amedeo II di Savoia, re di Sardegna.

Scalone

Lo scalone d’ingresso al museo risale ai primi decenni dell’Ottocento. Di tipologia “a pozzo”, rispecchia la classica struttura degli spazi d’accesso dei palazzi torinesi e si caratterizza per la presenza di nicchie, all’interno delle quali si trovano statue di epoca romana e barocca. Importante per la storia del collezionismo italiano è la monumentale statue di Bacco. Risalente al II secolo d. C. essa si trovava a inizio Cinquecento a Roma, dove decorava la loggia sul Tevere della sfarzosa residenza di Bindo Altoviti. Banchiere di papa Giulio II della Rovere, aveva raccolto una rinomata collezione di antichità, studiata per tutto il Rinascimento. Furono i suoi eredi a vendere le più belle statue classiche a Carlo Emanuele I di Savoia. Il Bacco giunse a Torino a inizio Seicento. In collezione Savoia ancora tutto l’Ottocento, nel secolo successivo passò all’antiquario Pietro Accorsi. Fornita in passato di una pantera, alla quale si appoggiava la mano sinistra, il suo aspetto attuale è la conseguenza di lavori di restauro eseguiti nel XVII secolo. Proveniente dalla collezione dello scultore genovese Santo Varni è, invece, la figura di Togato, risalente al tardo periodo imperiale romano.

Galleria degli specchi

Da questa galleria a loggia inizia il percorso espositivo del Museo, allestito per sale tematiche da Giulio Ometto secondo il gusto e i principi d’arredamento seguiti da Pietro Accorsi nel decorare la sua villa di Moncalieri, alle porte di Torino. L’ambiente, luminoso ed elegante, presenta gli stilemi tipici delle gallerie degli specchi francesi e ospita al suo interno interessanti oggetti, come le due rare statue in peltro raffiguranti <em>Arlecchino</em> e <em>Arlecchina</em>. Posta al fondo dell’ambiente è una fontana per interni in terracotta, opera francese di metà Settecento già parzialmente dorata, formata da una vasca a forma di conchiglia sulla quale riposano due puttini, allegorie dei fiumi Loira e Rodano. Dal centro della volta pende un curioso e originale lampadario a lanterna interamente modellato in lamierino dipinto, proveniente dal castello di Trofarello e realizzato nell’ultimo quarto del XVIII secolo su possibili disegni di Leonardo Marini, regio disegnatore d’interni di Casa Savoia. Di manifattura romana sono, infine, le due colonne reggivaso, lavorate in preziosissimi marmi cipollino e nero d’Egitto.

Sala degli oggetti montati

L’ambiente deve il suo nome alla ricchissima raccolta di oggetti montati su bronzo dorato qui esposti. Si tratta di porcellane cinesi ed europee, cristalli e manufatti in madreperla che, tra Sei e Ottocento, furono impreziositi da guarnizioni in metallo prezioso, secondo un costume nato e diffuso nel Medioevo. Oggetti dalle più disparate funzioni, la cui importanza cresceva anche in base alla collezione di cui avevano fatto parte, quali quelle celebri di Lorenzo il Magnifico o Madame de Pompadour. Proveniente dalla Lombardia è il quadro al centro della finta volta raffigurante Venere e Cupido. Parte dell’arredo della villa Palma Nota di Cesniola di Orbassano erano, invece, le tre chiambrane per porte dipinte a finto marmo, con profili classici e ghirlande floreali. Una reca, ancora oggi, la firma di Leonardo Marini, artista poliedrico che nel 1782 fu nominato “disegnatore d’interni” da re Vittorio Amedeo III di Savoia e assolse tale incarico fino alla caduta della monarchia sabauda nel 1798.

Galleria dei Preziosi

La galleria è divisa in due ambienti. Nel primo si conservano argenti torinesi del Settecento e scatole d’oro di manifattura francese: bomboniere, tabacchiere e astucci, databili dalla fine del XVII secolo ai primi decenni del XIX secolo. Nel secondo si ammirano, invece, argenterie italiane ed europee, risalenti ai periodi barocco e ottocentesco, scatole d’oro di manifattura svizzera, tedesca, inglese e italiana, e gioielli, tra i quali un rarissimo piccolo Collare della Santissima Annunziata, appartenuto al conte Luigi Cibrario. La collezione di più di centoquaranta oggetti preziosi del museo è una delle più importanti a livello europeo. Documenta a che livello di perfezione seppero giungere gli artigiani che, nei secoli passati, si adoperarono per soddisfare le richieste di una classe dirigente cosmopolita e pretenziosa. Bellissima espressione figurativa del rococò torinese è la caffettiera recante lo stemma del regio elemosiniere, nonché abate, Filippo del Carretto di Gorzegno. Realizzata intorno al 1760, è attribuibile a Giovanni Battista Tana, famoso argentiere attivo anche per casa Savoia, famiglia il cui interesse per le forme dinamiche tardo barocche durò per tutto l’Ottocento, come dimostra il Versatoio con stemma sabaudo, uscito dal laboratorio Odiot di Parigi.

Saletta Madonna delle Nevi

La sala prende il nome dall’importantissima statua lignea, raffigurante la Madonna in posa stante con il Cristo Bambino, che qui si conserva, proveniente dalla cappella del Vibernone, località vicina a Chieri, nel torinese. Eseguita intorno al 1495, è opera di uno scultore franco-fiammingo che la recente critica tende a identificare con Adrien de Recort, alla cui bottega si attribuisce anche l’altra statua lignea presente in questo ambiente, una bella Vergine Annunziata, proveniente sempre dalla collezione Antonicelli di Torino. Autore dell’unica tela alle pareti è invece Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo dalla cittadina monferrina eletta a sua dimora dal 1593, che in quest’opera seppe conferire un’atmosfera davvero celestiale all’apparizione della Madonna ai due committenti in ginocchio, presentati da Santa Maria Maddalena e San Francesco d’Assisi. Il Crocifisso in pietre dure, ebano e lapislazzuli è invece fiorentino: attribuito da Alvar Gonzáles-Palacios alla Galleria dei lavori di Firenze, esso fu realizzato ai tempi di Cosimo III de Medici, committente di manufatti simili allo scultore di pietre dure Giuseppe Antonio Torricelli.

Sala della arti del Barocco

Dedicato alla produzione figurativa sei-settecentesca, lo spazio è un omaggio indiretto a Pietro Accorsi che in occasione delle mostre sul Barocco Piemontese, del 1937 e 1963, prestò diverse opere della sua collezione, lavorando al fine di rilanciare l’interesse del pubblico verso questo periodo storico. Qui si trovano opere risalenti a un periodo compreso tra il tardo Cinquecento e il Settecento, periodo al quale risale gran parte delle sculture esposte, tra le quali il Trionfo della Virtù incoronata da geni e attorniata dalle Arti Liberali, capolavoro del torinese Francesco Ladatte (1744).

Cucina

L’ambiente raccoglie circa 380 oggetti di rame e si presenta quale spazio adatto a evocare la vita di campagna dell’aristocrazia piemontese. Un grande camino veneto seicentesco domina la vista, accompagnato sui lati da raffinati arazzi francesi entre-fenêtres, tessuti intorno alla metà del XVIII secolo e raffiguranti dei piedistalli con sopra dei vasi traboccanti di fiori. Al centro dell’ambiente, un prezioso tappeto Ushak accompagna la lunga tavola, di probabile manifattura piemontese tardo rinascimentale. Degne di nota sono alcune sculture medievali in pietra: un capitello e un leone stiloforo databili all’XI secolo. Dall’eremo dei Camaldolesi di Pecetto, sulla collina di Torino, proviene invece la bilancia a due piatti. Direttamente collegata è la grande alcova, all’interno della quale si possono ammirare un pregevole arazzo Aubusson settecentesco e una piattaia torinese, sulla quale sono esposti piatti in terraglia delle manifatture ottocentesche Creil e Dortu-Richard.

Sala “Graneri”

L’ambiente prende il nome dal pittore Michele Antonio Graneri (Torino, 1708-1762) che, intorno al 1756, dipinse la grande Veduta del mercato di Porta Palazzo a Torino qui esposta. Pendant, molto probabilmente, della Piazza delle Erbe a Torino con il mercato e l’estrazione del lotto del Museo Ringling di Sarasota, il quadro fu realizzato a partire da una incisione di Giovanni Battista Borra, pubblicata nel 1749 e celebrante il grande spazio urbano ideato da Filippo Juvarra negli anni di permanenza torinese. Ricco di figure dagli sguardi spiritosi, è un catalogo della “fauna sociale” che era possibile incontrare nella Torino dei Savoia. L’opera, di qualità pittorica molto alta, fu realizzata in anni vicini alle opere messe a confronto: i due gruppi allegorici di Francesco Ladatte e la splendida consolle torinese, vicina per soluzioni formali ai mobili proposti nelle stampe di Nicolas Pineau, ornatista della Corte francese. Qui si trovano i mobili piemontesi intarsiati più antichi della collezione. La scrivania a otto gambe, detta “mazzarina” fu realizzata intorno al 1705 per il principe Vittorio Amedeo Filippo di Savoia (Torino, 1699-1715). Il monogramma presente sulla mensa rimanda a uno quasi identico tutt’oggi visibile sulla ringhiera di un balcone del Castello di Rivoli, residenza sabauda che, a inizio Settecento, fu dotata di un appartamento per lo sfortunato figlio di Vittorio Amedeo II, re di Sicilia e, dal 1720, di Sardegna. L’inginocchiatoio con scene delle Passione di Cristo è, invece, una “primizia” di Luigi Prinotto, ebanista-minusiere attivo per più di ottant’anni sulla scena artistica torinese, nella quale seppe inserirsi con committenze di prestigio, che lo videro lavorare accanto a colleghi celebri, quale Pietro Piffetti.

Sala delle ceramiche

Nelle vetrine ad armadio di questa sala è raccolta una collezione di ceramiche con esempi di maiolica e porcellana provenienti da diverse parti d’Europa e d’Italia. Per le maioliche si va da quelle meno note, come le torinesi, a quelle più conosciute di Deruta, Savona, Lodi, fino alle inglesi di Wedgwood. Tra le porcellane, oltre a una raffinata zuppiera Ginori di Doccia, si segnalano per numero quelle rarissime della fabbrica del castello di Vinovo, risalenti tutte all’ultimo quarto del XVIII secolo.

Sala dei servizi in porcellana

In questo ambiente sono raccolti due straordinari e preziosi servizi da tavola, prodotti da due tra le più importanti manifatture di porcellana europea del Settecento: una tedesca, Frankenthal, l’altra francese, Sèvres. Di porcellana totalmente bianca è infine anche gran parte del lampadario, uscito dalla manifattura reale di Berlino nella seconda metà del XIX secolo.

Sala da pranzo

Le carte cinesi conservate alle pareti provengono dal castello canavesano di Favria. Fu il conte Giuseppe Solaro di Breglio e Govone ad acquistarle a Vienna prima del 1732. Tornato in Piemonte, le utilizzò, dopo il 1740, per decorare la residenza ricevuta in dote dalla moglie, nata Vassallo di Favria. I soggetti raffigurati sono tutti ispirati al mondo della natura e il tipo di pittura, bidimensionale, è tipico della cultura figurativa orientale. Le sedie provengono, invece, da un palazzo aristocratico milanese e documentano quale fosse il gusto della classe dirigente lombarda prima dell’avvento del “gusto alla greca”, auspicato dai fratelli Verri e da Giuseppe Parini, scelto dagli Asburgo d’Austria quale iconografo dei lavori di Palazzo Reale del 1771. Modellati sull’esempio degli argenti tedeschi di inizio Settecento sono i due doppieri in porcellana di Meissen presenti sul tavolo posto al centro dell’ambiente. Completamente bianchi, non furono colorati perché rimasti intatti a seguito della duplice cottura di biscotto e smalto.

Salotto della musica

Quasi tutti gli arredi di questa sala risalgono ai primi decenni del XIX secolo, quando in Europa trionfava il cosiddetto gusto “Impero”. A dare il nome alla sala sono gli strumenti musicali conservati: un forte-piano Erard, datato 1818, e l’arpa intagliata, quasi certamente opera di Jacques-George Cusineau, maestro di musica da camera della regina Maria Antonietta di Francia. Tra i ritratti alle pareti, meritano attenzione quelli raffiguranti Vittorio Amedeo III di Savoia e la figlia, Maria Teresa d’Artois, opera del piemontese Giovanni Panealbo e i conti di Provenza, dipinti nel 1771 dal francese Francois-Hubert Drouais.

Salone Luigi XVI

L’ambente prende il nome dal sovrano francese sotto il cui regno (1774-1792) l’aspetto formale dell’arredo europeo evolse dal tardo barocco al neoclassicismo. In realtà, parte dei mobili qui presenti risale ai primi decenni dell’Ottocento, epoca in cui s’impose il gusto estetico della famiglia di Napoleone Bonaparte, fatto di continue citazioni dall’arte romana di età imperiale, considerata la più consona a rappresentare il potere ‘universale’ dell’imperatore dei francesi. A distinguersi, per rarità di confronti, è il doppio corpo a ribalta interamente rivestito in mattonelle di maiolica di Pesaro, realizzato alla fine del XVIII secolo. Estremamente delicato, documenta una produzione estremamente costosa, dalla quale scaturì, già a metà Settecento, la fattura di mobili dipinti a imitazione ‘della porcellana’, quali il cassettone e la mezzaluna piemontesi qui esposti. Le sei sedie ‘leonine’, in legno intagliato e dorato, provengono da Lucca, dove furono realizzate all’inizio del XIX secolo.

Salone Piffetti

Uno degli ambienti più ricchi e importanti del percorso museale, prende il nome dall’autore del monumentale doppio corpo qui conservato, il torinese Pietro Piffetti (1701-1777), figura emblematica del barocco a livello mondiale. Sulla parete di fronte al mobile c’è il Ritratto di Carlo Emanuele III di Savoia, realizzato nel 1738 da Maria Giovanna Battista Clementi, più nota come “la Clementina”. Al centro della sala splende, per i legni finemente impiallacciati e lucidati e i bronzi dorati, il magnifico bureau plat francese di metà Settecento firmato da Jacques Birckle, sopra il quale si trova, tra altri oggetti, un delicato leggio eseguito da Piffetti. Notevoli, la coppia di globi olandesi di metà Seicento e i due splendidi lampadari francesi provenienti dal castello di San Martino Alfieri, montati accostando alla ricchezza del telaio in bronzo dorato la rarità dei vasi cinesi e il pregio delle finiture in porcellana di Sassonia. Fa da sfondo l’arazzo settecentesco della manifattura di Bruxelles con Le Nozze di Gamacho, soggetto tradotto da stampe di Charles- Antoine Coypel.

Camera da letto Bandera

Prende il nome dal particolare tipo di ricamo piemontese adoperato per impreziosire il rivestimento a tessuto del letto barocco a baldacchino. Tutto in questa stanza richiama l’Oriente: i motivi ornamentali ricamati, le tre applique intagliate delle pareti, che rappresentano figure tipiche dell’immaginario cinese, il lampadario e infine l’inconsueto soprammobile che riproduce una pagoda con giardino, opera piemontese di metà Settecento. Agli angoli della sala vi sono due cantoniere piemontesi, le cui portelle furono dipinte a paesaggio dal celebre Vittorio Amedeo Cignaroli.

Salotto Luigi XV

Il salottino ripropone l’atmosfera elegante, raffinata ed esclusiva che caratterizzò intorno alla metà del Settecento, in Francia, il regno di Luigi XV di Borbone. A quell’irripetibile momento storico risale in particolare la straordinaria e rarissima commode di grandi dimensioni, decorata in lacca Coromandel, con bronzi cesellati e dorati a doppio inquadramento, marcata Dubois.

Camera da letto di Accorsi

È in questa camera che si trovano alcuni degli oggetti più cari al celebre antiquario torinese. Un insieme dalle più disparate provenienze, assemblato partendo dal rarissimo letto un tempo a Villa Garzoni a Collodi, vicino Lucca, interamente rivestito in prezioso damasco di seta verde e caratterizzato da un delicato decoro a intreccio floreale. Accanto si trovano un’accogliente chaise longue settecentesca e uno straordinario doppio corpo dalle eleganti forme rococò, riconducibile a manifattura parmense. Capolavoro del celeberrimo François Boucher, primo pittore della corte di Francia, è il grande dipinto alla parete, raffigurante una deliziosa scena campestre con eleganti pastori e pastorelle, ambientata in un paesaggio lussureggiante. Ai lati del quadro troneggiano due rari armadi pensili, opera del già ricordato Pietro Piffetti, intarsiati con scene raffiguranti l’arte della tornitura dell’avorio. Repliche tardo-settecentesche di due rilievi di Ignazio Collino, conservati a Palazzo Reale di Torino, sono, infine, i profili in gesso raffiguranti Alessandro Magno e Olimpia, a monte dei quali si trovano un rilievo tardo-antico e uno rinascimentale, opera del fiorentino Desiderio da Settignano. Tra i mobili più importanti che arredano questa sala c’è sicuramente il magnifico bureau plat genovese, databile a metà Settecento per via delle forme esili e dinamiche, sopra il quale sono raccolte immagini fotografiche di Accorsi. Il tappeto a fondo verde è uno dei più belli della collezione, prodotto nella manifattura Aubousson a inizio Ottocento e caratterizzato da un insieme simmetricamente ordinato di elementi decorativi desunti dall’architettura antica. Degne d’interesse sono infine le applique a due luci in lamierino e il lampadario in bronzo e porcellana di Meissen di metà Settecento.

Sala Veneziana

Questa sala raccoglie una delle più importanti collezioni italiane di arredi veneziani settecenteschi, con pezzi di qualità assoluta. L’allestimento cerca e ricrea l’atmosfera capricciosa degli ambienti rococò veneti, caratterizzati da ridondanza di forme e uso prevalente di tenui colori pastello. Di manifattura piemontese sono, invece, le porte, mirabilmente intagliate nel legno poi dorato, e il funzionale tavolino à cabaret, caratterizzato da motivi decorativi all’orientale. Alle pareti si segnalano, per importanza storico-artistica, le particolareggiate vedute di Mondovì e Vicoforte, opera di Angelo Maria Cignaroli; una delicata natura morta firmata da Leonardo Marini e datata 1782; e una piccola ma importante tempera su pergamena raffigurante la Madonna del libro, opera del genovese Giovanni Battista Castello, noto collaboratore di Luca Cambiaso.

Prima Sala Cignaroli

L’ambiente prende il nome da Vittorio Amedeo Cignaroli, autore dei tre splendidi dipinti inseriti nella boiserie che copre le pareti. Le tele rappresentano scene di caccia della nobiltà piemontese ambientate in ameni paesaggi ispirati a vedute reali dei dintorni di Torino. Tra gli arredi esposti, è possibile ammirare un cofano-forte, decorato con una lastronatura a mosaico composta da tessere di palissandro alternato a pruno, e un tavolino da centro dalla mensa ottagonale con inserti in avorio, entrambi capolavori indiscussi di Pietro Piffetti.

Seconda Sala Cignaroli

Come il precedente ambiente, anche questo deve il suo nome alle tele di Vittorio Amedeo Cignaroli qui presenti, che rappresentano ancora scene di caccia. L’arredo vario e lussuoso è formato da una serie di seggioloni piemontesi di primo Settecento, da una commode francese rivestita in lacca rossa recante il marchio dell’ebanista Jacques Dautriche e da un tavolino di Pietro Piffetti, impiallacciato in legni di bosso e viola, con intarsi a raggiera in avorio pirografato. Il grande lampadario piemontese in cristallo di rocca, di tipologia a goccia, risale alla metà del

Sala Trémolières

La sala prende il nome dal pittore francese Pierre Charles Trémolières, autore, intorno al 1733, delle tele appese alle pareti, raffiguranti i Sette Sacramenti. Committente del ciclo fu il potente cardinale Alessandro Albani, che commissionò all’artista la riproduzione di una serie di quadri eseguiti nel 1712 dal bolognese Giuseppe Maria Crespi, sulla base dei bozzetti tutt’oggi conservati a Castel Gandolfo. Nel 1956 le opere furono dichiarate dallo Stato di particolare interesse storico artistico, e come tali furono notificate all’allora proprietario, il conte Aldrighetto Castelbarco Albani Visconti Simonetta. I dipinti saranno poi acquistati da Giulio Ometto, ed entreranno così a far parte della collezione museale.

Saletta Maria Vittoria

I venti acquerelli, disposti uno accanto all’altro sulle pareti di questa piccola galleria, furono commissionati dalla città di Torino come dono per i duchi d’Aosta Amedeo di Savoia e Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna al momento in cui divennero regnanti di Spagna nel 1870. Sono opera dei più importanti e famosi pittori attivi nella Torino negli anni sessanta dell’Ottocento e rappresentano diverse località piemontesi del tempo. In origine erano montati su passe-partout e raccolti in un album all’interno di un prezioso astuccio, purtroppo andato perduto. Unico arredo presente è il trumeau in legno dipinto a finto marmo, proveniente dalla villa Palma Nota di Cesniola di Orbassano.

Salone dei pannelli cinesi

Il nome dato alla sala rende omaggio alle grandi carte cinesi presenti alle pareti, eseguite in Oriente intorno alla metà del XVIII secolo. Si tratta di rotoli che, xilografati e dipinti a tempera, furono poi importati in Europa, nella speranza di trovare dei buoni acquirenti. Come il gusto collezionistico del tempo imponeva, anche questi vedono raffigurati i cicli di lavorazione di alcuni dei principali prodotti esportati in Europa: nel nostro caso quelli del riso, della seta e del tè. Per via della loro altissima qualità, ancora oggi queste carte affascinano e stupiscono chi le ammira: armoniose e cromaticamente vivaci, raffigurano scene concepite senza prospettiva. Una provenienza livornese è invece ricordata per il grande lampadario “a goccia”, in vetro e cristallo, che pende dal centro del soffitto.

Buduoir Christian Dior

Il salottino è rivestito da pannelli a specchio smerigliati e dorati, che adornavano in passato un boudoir nell’appartamento parigino del celebre stilista francese Christian Dior. L’arredo è costituito da due eleganti cantoniere piemontesi, decorate con intagli, attribuite a Francesco Bolgiè e dallo straordinario cassettone di Pietro Piffetti, ebanista di corte dei Savoia a partire dal 1731: un mobile dalle proporzioni perfette e dal decoro ad intarsio di virtuosistica bravura.

Studiolo di Pietro Accorsi

Delle sale del museo questa è l’unica a essere rimasta invariata dai tempi di Accorsi, che qui riceveva i suoi clienti, tra i quali molti dei grandi protagonisti della storia del Novecento. Le pareti sono interamente rivestite da pannelli scolpiti in legno di cirmolo della Valtellina, risalenti alla fine del XVII secolo.